a cura di Veronica Cireneo
L'attuale Pontefice Sua Santità Leone XIV nonostante i pochi giorni trascorsi dalla Sua elezione al Soglio Petrino ha già ampiamente dimostrato di amare un linguaggio sobrio, disarmato, non ideologizzato che invece così di moda ha abusato di molti termini fondanti della società civile, col risultato di svuotarli del significato legittimo e generare disorientamento. Il 17 maggio nell'incontro in Sala Clementina, ricevendo i membri della Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice, il Papa ha colto l’occasione per chiarire in cosa consiste la vera “dottrina”, in cosa "il dialogo", in cosa l'"unità" e in cosa la "libera adesione alla Fede". Conosciamo il suo pensiero attraverso questo articolo di Gaetano Masciullo, che ringraziamo per la completezza e la chiarezza espositiva. Buona lettura
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• Sul concetto di unità
(...) Sua Santità ha così dichiarato il 19 maggio, durante l’incontro con i rappresentanti delle varie religioni, accorse a Roma per la Messa di inizio pontificato celebrata il giorno prima: “riconosciamo che questa unità non può che essere unità nella fede”; e ancora: “La nostra comunione si realizza, infatti, nella misura in cui convergiamo nel Signore Gesù. Più siamo fedeli e obbedienti a Lui, più siamo uniti tra di noi”.
Queste parole sembrano promettere bene per il futuro, nella misura in cui l’unità è intesa come unità nella verità e non come confederazione di diverse dottrine religiose, una Chiesa ridotta a ONU delle religioni.
• Sul concetto di dottrina
Papa Leone ha esplicitamente affermato che la dottrina della Chiesa non equivale a un’opinione. Ora, se la dottrina cattolica non è un’opinione tra tante, vuol dire che è una certezza. Questo primo chiarimento si discosta notevolmente da quanto è stato ribadito a tal proposito negli ultimi anni, specialmente dalle gerarchie più alte della Chiesa. Cosa intende, dunque, Papa Leone quando parla di “dottrina”?
Quando sentiamo la parola ‘dottrina’ – ha detto il Papa – ci viene in mente la definizione classica: un insieme di idee proprie di una religione. E con questa definizione ci sentiamo poco liberi di riflettere. (…) Si fa urgente il compito di mostrare che esiste un altro e promettente significato dell’espressione ‘dottrina’, senza il quale anche il dialogo si svuota.
I suoi sinonimi possono essere ‘scienza’, ‘disciplina’, o ‘sapere’. Così intesa, ogni dottrina si riconosce frutto di ricerca e quindi di ipotesi, di voci, di avanzamenti e insuccessi, attraverso i quali cerca di trasmettere una conoscenza affidabile, ordinata e sistematica su una determinata questione.”
Proprio come i teologi cattolici medievali, anche noi oggi dobbiamo riprendere la concezione di teologia come “scienza”, cioé come discorso argomentato su Dio, anzitutto, e poi anche sul mondo e sull’uomo a partire da Dio. Proprio come una scienza naturale si sviluppa a partire da dati di conoscenza sicuri come quelli forniti dai sensi, così anche la dottrina cattolica parte da dati degni di fede, cioé la Rivelazione, ciò che Dio stesso ha rivelato all’umanità in Cristo Gesù.
Questo parallelismo tra fede e dottrina, e tra dottrina e argomentazione, è profondamente cattolico e biblico.
La stessa Scrittura, infatti, afferma che “la fede è sostanza delle cose che si sperano e argomento delle cose che non si vedono” (Ebrei 11, 1). Nel definire la fede come argomentum, l’Autore Sacro sottolinea l’importanza di approfondire – con il dono della grazia – le premesse e le implicazioni delle verità rivelate, che si riverberano su ogni aspetto della vita individuale e sociale.
Anche san Pietro, primo Papa, sottolinea nella sua lettera che il cristiano non deve imporre senza carità la verità contro colui che non crede, ma deve persuadere e dimostrare che la religione cattolica non è irragionevole, ma, al contrario, ciò che dà perfezione e compimento all’intelletto umano: “Siate sempre pronti a soddisfare chiunque vi domandi ragione di quella speranza che è in voi” (1Pietro 3, 15).
Ora, per soddisfare la sete di verità dell’uomo, è necessario conoscere in maniera affidabile, ordinata e sistematica il deposito della fede.
• Sul concetto di dialogo
Partendo da questa prospettiva, assume un significato diverso anche il concetto di “dialogo”, termine tanto abusato dai teologi liberali e dai modernisti nel corso degli ultimi due secoli e ridotto a un pietoso scambio di impressioni personali sulla divinità, dove ognuno accetta la posizione dell’altro senza chiedersi dove sia la verità. Non è questo però il dialogo autentico, quello che la stessa Scrittura promuove, laddove si legge: “Imparate a fare il bene, cercate il giudizio, (…) E venite, ragionate con me, dice il Signore. (…) Se lo vorrete, se mi ascolterete, mangerete i frutti della terra” (Isaia 1, 17-19).
Il dialogo non è un concetto contrario al cattolicesimo tradizionale, anzi gli è proprio. Il cattolicesimo, infatti, si è diffuso nei primi secoli non con la violenza della prevaricazione o della spada, ma con la forza della verità, che, sostenuta dalla grazia, si rivolge all’intelletto e muove liberamente l’anima all’assenso mediante la persuasione, come insegnerà secoli dopo san Tommaso d’Aquino. Non si può dire lo stesso di altre religioni, come l’islam o il protestantesimo, che si sono diffusi con la spada e con la violenza dei poteri secolari.
Il cattolico non può ignorare le ragioni della propria fede ed è chiamato a trasmettere nella carità le ragioni, cioé gli argomenti, della propria fede. In questo modo, la dottrina cattolica non è un monolito freddo, un pacchetto nel grande supermercato delle religioni da accettare o rifiutare, ma – proprio come ha detto Papa Leone – “una conoscenza affidabile, ordinata e sistematica”.
Il dialogo deve avere come obiettivo la persuasione. Non deve cioé semplicemente convincere l’intelletto, ma predisporre la volontà all’azione della grazia, che sola genera la fede. Non si può dialogare con chi non è cristiano partendo dall’arrogante pretesa che l’altro debba convertirsi subito a quanto si afferma. Anzitutto, perché colui che converte i cuori è solo Dio e l’uomo è solo uno strumento, per quanto efficace, della sua Parola. Tutti i cattolici sono chiamati a vivere come san Giovanni Battista, modello dei credenti: “Sono voce di uno che grida nel deserto” (Gv 1, 23) – voce, non parola.
Per questo motivo, verità e carità devono essere sempre unite quando si insegna o si fa testimonianza della fede cattolica. Del resto, lo stesso Signore ha usato lo stesso metodo con l’umanità: rivelandosi nel corso della storia a Israele, e poi soprattutto in Cristo Gesù, ha sempre illustrato le ragioni della sua Legge e della sua dottrina. Quando l’autorità muove la mente e il cuore del suddito, suscita in questi la docilità e l’obbedienza.
Vediamo la stessa dinamica antropologica anche nella famiglia, nella relazione tra padre e figlio. San Giovanni Bosco, ideatore di quella che potremmo definire la pedagogia cattolica per eccellenza, insegnava agli educatori che, per essere ascoltati dai ragazzi, bisognava fondare l’insegnamento su tre concetti: religione, ragione e amorevolezza. Se uno di questi tre pilastri viene meno, si può stare certi che la missione stessa dell’educatore (e per estensione dell’evangelizzatore) andrà incontro al fallimento.
Il Papa ha detto ancora: “L’indottrinamento è immorale, impedisce il giudizio critico, attenta alla sacra libertà della propria coscienza – anche se erronea – e si chiude a nuove riflessioni perché rifiuta il movimento, il cambiamento o l’evoluzione delle idee di fronte a nuovi problemi. Al contrario, la dottrina in quanto riflessione seria, serena e rigorosa, intende insegnarci, in primo luogo, a saperci avvicinare alle situazioni e prima ancora alle persone. Inoltre, ci aiuta nella formulazione del giudizio prudenziale. Sono la serietà, il rigore, la serenità ciò che dobbiamo imparare da ogni dottrina”.
Se l’indottrinamento è l’imposizione della verità senza la carità, cioè senza fornire le “ragioni della speranza” di cui ci parla san Pietro, oppure senza aspettare che i semi di verità germoglino nel cuore dell’uomo secondo i tempi e le circostanze disposte da Dio (cfr. 1Corinzi 3, 6), certamente esso sarebbe immorale.
• Sulla libera adesione alla Fede
ll cristiano deve rispettare la coscienza del prossimo anche se è erronea. Si badi bene: questo non vuol dire giustificare la coscienza erronea. Se il giudizio del fratello è sbagliato, bisogna riconoscerlo come tale. Correggere l’errore, ammonire il peccatore, insegnare all’ignorante o consigliare chi è dubbioso sono preziose opere di misericordia spirituale. Rispettare la coscienza erronea vuol dire – come suggerisce l’etimologia stessa della parola ‘rispettare’ – guardare con attenzione, cioé accompagnare e favorire la crescita della verità nel cuore dell’uomo. Anche la Scrittura ci avvisa: “Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ezechiele 18, 23).
Sant’Agostino insegna che l’uomo può fare ogni cosa contro la propria volontà, ma crede solo volendo. Ora, la volontà non può essere costretta. Dunque, non si può costringere l’uomo alla fede, se non con la verità. E come si pianterà il seme della verità nel cuore dell’uomo, se non con la carità?
San Tommaso d’Aquino insegna, inoltre, che l’imposizione cieca e irrazionale di idee, senza rispetto per la libertà della coscienza umana, è contraria alla dignità dell’uomo creato a immagine di Dio, cioé libero e razionale. Tuttavia, la coscienza – quando e soprattutto se erronea – va illuminata e corretta con carità, secondo verità. Non ogni azione basata sulla coscienza è giusta, ma ogni coscienza va rispettata nel suo orientamento fondamentale al bene.
San Tommaso non difende la libertà di coscienza in senso moderno, giustamente condannata dal Sillabo di Pio IX e da altri documenti magisteriali. Tale libertà, infatti, che i moderni presentano addirittura come “diritto”, presuppone che tutti i giudizi che la coscienza umana è in grado di formulare siano di pari valore; ma così non può essere.
San Tommaso, invece, insegna che bisogna tollerare con prudenza l’errore altrui, per non creare uno scandalo maggiore, non solo nell’individuo che sbaglia, ma anche e soprattutto nella società.
“Tra gli infedeli – scrive san Tommaso – ci sono alcuni che non hanno mai ricevuto la fede, come i pagani e gli ebrei. Questi non devono essere in alcun modo costretti alla fede, affinché credano, perché credere è un atto della volontà.
Tuttavia, se c’è la possibilità, devono essere costretti dai fedeli a non ostacolare la fede, né con bestemmie, né con cattive persuasioni, né con persecuzioni manifeste.
Per questo motivo, i fedeli di Cristo muovono guerra contro gli infedeli, non per costringerli a credere (poiché, anche se li vincessero e li catturassero, lascerebbero loro la libertà di decidere se credere o meno), ma per impedire loro di ostacolare la fede cristiana.” (S.Th., II-II, q.10, a. 8)
Oggi viviamo di nuovo in una società pagana. Molti di coloro che formalmente si dicono cristiani, in realtà non lo sono, perché non conoscono nulla della dottrina cattolica e, anzi, sono cresciuti non con l’educazione della fede, ma con l’educazione gnostica fornita loro dalle scuole pubbliche, dagli stati, dai genitori e persino dalle parrocchie. Anche coloro che formalmente commettono apostasia e abbandonano la Chiesa cattolica non possono di fatto essere ritenuti apostati o eretici, perché l’apostata è colui che un tempo ha conosciuto e professato la fede cattolica nella sua interezza, ma oggi la maggioranza di coloro che abbandonano il cattolicesimo lo fanno perché non l’hanno mai conosciuto oppure lo hanno confuso con una spiritualità debole e infantile, incapace di dare significato alla vita.
Anche il Concilio Vaticano Primo si è fatto erede di questo insegnamento tomistico: esso, infatti, condanna infallibilmente chi nega la libertà dell’assenso di fede (cfr. Dei Filius, canoni, sez. III, 5). In definitiva, l’uomo non crede perché costretto da una forza esterna, né dallo Stato, né da altri, ma neanche perché costretto da argomenti puramente razionali, bensì perché vuole credere e tale volontà è mossa da Dio, il quale assiste l’uomo con la grazia iniziale".
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In un tempo in cui l’identità cattolica rischia spesso di essere annacquata nel compromesso o nel timore di apparire esclusiva, le parole di Papa Leone XIV, se lette alla luce della Tradizione, offrono l’opportunità di riscoprire una dottrina viva, amica della ragione, capace di educare alla libertà autentica e alla fede che salva.
È però necessario vigilare affinché il linguaggio non venga frainteso o piegato da interpretazioni mondane o mediatiche.
Non ogni evoluzione, infatti, è vera continuità con ciò che gli Apostoli hanno trasmesso, né ogni ascolto costituisce dialogo nel senso più cattolico del termine.
Solo una Chiesa che conosce con chiarezza — in modo “affidabile, ordinato e sistematico” — il contenuto della propria fede, potrà annunciarla e insegnarla con efficacia e carità.
Gaetano Masciullo, 22 maggio 2025
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