a cura di Veronica Cireneo
Nell'articolo che segue, collocabile all'interno dell'annosa questione riguardante la validità/liceità della Santa Messa e dei Sacramenti in unione con Francesco, vediamo come il teologo padre Giorgio Maria Fare', del quale avevamo già avuto modo di parlare Qui e Qui, e che ringraziamo per la cortesia - a partire da uno studio del dottor Cionci, confutandolo con documenti ufficiali alla mano - dimostri la validità della Santa Messa una cum papa Francisco. Buona lettura e diffusione. §§§
Commento di p. Giorgio Maria Faré allo studio di Andrea Cionci:
«Sulla validità/liceità della Messa una cum Papa Francisco»
Pubblicato il 21 marzo 2025, aggiornato il 26 marzo 2025
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Vorrei in questo testo analizzare lo studio dal titolo «Sulla validità/liceità della Messa una cum Papa Francisco» pubblicato dal dott. Andrea Cionci in formato PDF sul suo sito e disponibile nel momento in cui scrivo a questo link: https://www.codiceratzinger.eu/_files/ugd/162863_35b5cd53db5a461889fb1d23d35b5e7b.pdf
Dalla lettura del testo si evince che esso si basa su due premesse che risultano canonicamente e teologicamente non sostenibili:
•la prima è che il Card. Bergoglio, in quanto eletto invalidamente, sia scismatico;
•la seconda, conseguente alla prima, è che la cosiddetta “Chiesa bergogliana” sia anch’essa scismatica. Mostrerò brevemente come queste due affermazioni siano erronee secondo le leggi della Chiesa e molto pericolose sul piano teologale per i fedeli che vi aderiscono.
A pagina 1 del PDF il dott. Cionci cita il caso storico della Costituzione civile del clero, imposta in Francia durante la Rivoluzione francese. Cito dal pdf, pag. 1:
«Anche nel 1790 si riaffacciò la questione della legittimità dei sacramenti in unione con il pontefice: con la Costituzione civile del clero, molti cattolici francesi rifiutavano i sacramenti dai preti che avevano giurato alla Rivoluzione, e quindi li accettavano solo dal “clero refrattario” rimasto in unione con Roma. In quel caso, tuttavia, la situazione era stata chiarita pubblicamente, mentre oggi il presente antipapato è stato riconosciuto solo da una parte ancora minoritaria del clero e dei fedeli».
Spieghiamo meglio cosa vuol dire che: "In quel caso, tuttavia, la situazione era stata chiarita pubblicamente".
Dopo la promulgazione della Costituzione civile del clero (12 luglio 1790), la Santa Sede prese subito posizione per guidare i fedeli e condannare i sacerdoti che avessero prestato giuramento di adesione. Il testo principale con cui Pio VI espresse questa condanna fu l’enciclica Charitas, emanata il 13 aprile 1791. In essa il Papa dichiarava incompatibile con la dottrina cattolica l’ordinamento imposto dal governo rivoluzionario francese e ribadiva che i sacerdoti che giuravano fedeltà a tale Costituzione tradivano l’autorità ecclesiastica e si separavano dalla Chiesa, ovvero perdevano la comunione con essa per atto scismatico. Nel caso storico citato il clero e i fedeli erano stati debitamente indirizzati dall'autorità ecclesiastica che aveva dichiarato scismatico il sacerdote che avesse aderito al documento rivoluzionario.
Questo è l'unico caso in cui si può avere la certezza del delitto di scisma (1) di un ministro della Chiesa cattolica: è la Chiesa stessa a doverlo decretare (2).
Se tale cosa non avviene è sbagliato etichettare come scismatico un ministro cattolico. Ed è proprio questo che il dott. Cionci sostiene con il suo lavoro: si sostituisce il giudizio del fedele al giudizio della Chiesa; si preferisce una sorta di giustizia personale e arbitraria, al diritto e dovere della Chiesa di prendersi cura dei suoi ministri.
Tuttavia, il Codice di Diritto canonico — citato nello stesso documento del Dott. Cionci — ci dice che: Can. 841 – Poiché i sacramenti sono gli stessi per tutta la Chiesa e appartengono al divino deposito, è di competenza unicamente della suprema autorità della Chiesa approvare o definire i requisiti per la loro validità. Pertanto, i sacramenti celebrati da un ministro validamente ordinato vanno doverosamente considerati validi.
L’altro punto critico è il giudizio che la tesi del dott. Cionci riserva per tutta la Chiesa, questione che sta a monte rispetto a quella dei sacramenti e in un certo senso la genera, ma che si risolve allo stesso modo come ora vi dimostro.
Cito dalla pag. 3:
«Quindi non abbiamo una dichiarazione ufficiale della Chiesa cattolica sulla validità dei sacramenti nella Chiesa scismatica bergogliana che, tra l’altro, sembrerebbe anche eretica, filoprotestante e tendenzialmente negatrice della Transustanziazione».
Non abbiamo nemmeno una condanna emessa da un organo ecclesiastico competente che decreti come scismatica la cosiddetta “Chiesa bergogliana”. L’errore e la soluzione sono le stesse: il delitto di scisma non può essere accertato o sanzionato da un fedele privato, ma solo dall'autorità ecclesiastica competente, né verso un altro fedele, né verso un sacerdote, né tanto meno verso la cosiddetta “Chiesa bergogliana”. E poi, cosa sarebbe la Chiesa bergogliana? In cosa e come si distingue dalla Chiesa Cattolica? Questo discorso, mancando di precisione sul piano teologico e quindi ecclesiologico, è molto pericoloso perché confonde il fedele sul tema delicatissimo della comunione ecclesiale.
Tutta la tesi del dott. Cionci, infatti, non potendo basarsi su un documento magisteriale, né riguardo alla presunta posizione scismatica di Bergoglio, né riguardo alla questione dell’invalidità dei sacramenti, si fonda sulla supposizione. La struttura argomentativa dell’intero studio si rivela fondata su di una personale supposizione, come vediamo a pag. 4:
«È quindi lecito supporre che il verosimile abbandono della vera fede cattolica da parte di molti preti in unione con Bergoglio potrebbe intaccare una delle 4 cause di validità, cioè l’intenzione di operare la Transustanziazione».
Se fosse così semplice intaccare il fondamento della Chiesa, essa non sarebbe sopravvissuta nemmeno alla prima generazione di credenti. In questo campo non si può procedere per supposizioni. Nessuna supposizione personale può indurre il fedele a dubitare di quello che la Chiesa gli impone di credere: la Messa cattolica attualmente celebrata da ogni sacerdote cattolico è valida finché non sarà la Chiesa stessa a dire altrimenti con un pronunciamento magisteriale esplicito.
Non è quindi fondato sostenere che — cito da pag. 4:
«sulla validità dei sacramenti in unione con antipapa Francesco, è senz’altro necessario SOSPENDERE IL GIUDIZIO, e rimettersi al pronunciamento del prossimo vero Papa»
Così facendo il fedele antepone il proprio giudizio al giudizio attuale della Chiesa, arrogandosi di sospettare di invalidità un sacramento che la Chiesa impone di credere come valido e, peggio ancora, arrivando ad esimersi dalla Messa domenicale per questo motivo.
Ecco dove ancora il dott. Cionci ribadisce la sua tesi — cito da pag. 4:
«Il punto fondamentale è proprio che non occorre una dichiarazione della Chiesa per riconoscere Bergoglio antipapa e scismatico»
E segue citando "Universi Dominici Gregis", articoli 76 e 77, e il can. 332.2 del Codice di diritto canonico che conosciamo tutti bene.
Dove sta l’errore nella frase che vi ho citato? È assolutamente necessario che vi sia una dichiarazione della Chiesa per riconoscere il Card. Bergoglio scismatico!
E non importa che in questi anni Francesco abbia compiuto azioni e detto cose che possono indurre in alcuni il sospetto su di lui: questi giudizi spettano solo alla Chiesa. E invece, secondo il dott. Cionci e i suoi collaboratori, per affermare che Bergoglio sia scismatico, e con lui la cosiddetta “Chiesa bergogliana”, basta la constatazione del fedele di ritenere Bergoglio “ostinato” nelle sue posizioni. Vi leggo il paragrafo:
«Oltre a essere antipapa, è ostinato, dato che né lui stesso, né la Chiesa, né i Cardinali, né la Segreteria di Stato, né il Tribunale vaticano rispondono da tempo alle numerose pubbliche sollecitazioni. Così, Bergoglio è antipapa ed essendo ostinato è scismatico»
•Innanzi tutto una persona non è tenuta a rispondere a chiunque, l’ostinazione non si “misura” sul rifiuto di rispondere alle “pubbliche sollecitazioni”.
•In termini giuridici l’ostinazione è il rifiuto di correggersi dopo un’ammonizione ufficiale.
•Inoltre, non basta il nostro giudizio in merito al grado di ostinazione di qualcuno per decretare il suo reato di scisma.
• L’accertamento giuridico (la dichiarazione pubblica e formale) che qualcuno abbia effettivamente commesso il delitto di scisma spetta all’autorità ecclesiastica competente.
Credo che sia evidente che queste due premesse allo studio del dott.Cionci che ho appena analizzato non abbiano un rigoroso fondamento canonico e teologico. «Antipapa scismatico», «messa scismatica e illecita», «Chiesa bergogliana scismatica», questi modi di dire presenti nello studio del dott. Cionci sono fuorvianti perché inducono il fedele a credere che spetti al singolo il giudizio sulle conseguenze della mancata rinuncia al Munus da parte di Papa Benedetto, o sulla invalida elezione di Francesco, e invece no: i reati commessi da chicchessia all’interno della Chiesa, anche qualora passibili di scomunica latae sententiae, sono competenza esclusiva della Chiesa e degli organi preposti, da questi vanno accertati e puniti, da nessun altro.
Partendo da queste premesse il dott. Cionci va quindi a riportare pareri teologici che, secondo lui, dispensano dal precetto domenicale: Cita il Catechismo al n. 2180:
«Soddisfa il precetto di partecipare alla Messa chi vi assiste dovunque venga celebrata nel rito CATTOLICO, o nello stesso giorno di festa, o nel vespro del giorno precedente”.
Ma siccome, secondo la sua tesi, il rito celebrato dal 2013 ad oggi da ogni sacerdote validamente ordinato non sarebbe più cattolico, ma sarebbe una «messa scismatica illecita», il fedele ne sarebbe dispensato.
Cita poi un compendio di teologia morale del 1955 che riporta «l’impossibilità morale» e il «grave danno morale o spirituale» come «cause scusanti» che dispensano dal precetto domenicale e sostiene che il fedele sarebbe «pienamente scusato se non assolve al precetto domenicale» riferendosi alla partecipazione ad ogni Messa celebrata una cum dal marzo 2013 da ogni sacerdote cattolico validamente ordinato; questo perché è «massimo danno spirituale partecipare al peccato degli eretici».[Su questo punto, rimando anche all’approfondimento che ho inserito in fondo al documento sul nuovo intervento su YouTube del dott. Cionci, avvenuto dopo prima pubblicazione di questo commento]
A questo proposito il dott. Cionci cita la ormai arcinota Tertia Pars, Quaestio 82, Articulus 9 della Summa Theologiae, sostenendo che chi rifugge dall'ascoltare la Messa di tali sacerdoti (eretici, scismatici o apostati) o dal ricevere la comunione dalle loro mani, non rifugge dai Sacramenti, ma piuttosto li rispetta.
E questo sarebbe verissimo se qualcuno avesse SANCITO che i sacerdoti cattolici una cum sono eretici, apostati e scismatici, così da rendere necessario consigliare al fedele di evitare ogni loro celebrazione eucaristica.
Ma la Chiesa non l’ha fatto. Lo fece nel caso dei preti costituzionali francesi e autorizzò i fedeli a evitare tali sacerdoti, ma ad oggi non vi è nessun interdetto per nessuna celebrazione, ed è questo quello che conta.
Il dott. Cionci — al pari di don Minutella — evita di citare il prosieguo del discorso di san Tommaso, che dice quanto segue:
«Infatti gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati vengono privati dell'esercizio dei loro poteri da una sentenza della Chiesa. (…) fino alla sentenza della Chiesa è lecito (3) ricevere la Comunione da essi e ascoltare la loro Messa»( 4).
Alcuni hanno asserito che gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati, essendo fuori della Chiesa, non sono in grado di consacrare il sacramento eucaristico. Ma in ciò s'ingannano. Perché, come osserva S. Agostino, "altro è non avere una cosa, altro è averla abusivamente", così pure "altro è non dare e altro è dare malamente". Coloro dunque che facendo parte della Chiesa ricevettero il potere di consacrare l'Eucarestia con l'ordinazione sacerdotale, ne hanno validamente la facoltà, ma non la esercitano lecitamente, se in seguito si sono separati dalla Chiesa con l'eresia, lo scisma, o la scomunica. […] E poiché la consacrazione dell'Eucarestia è un atto connesso col potere di ordine, coloro che sono separati dalla Chiesa per eresia, scisma, o scomunica, possono validamente consacrare l'Eucarestia, la quale, sebbene da essi consacrata, contiene il vero corpo e sangue di Cristo…»(5).
Quindi, riprendendo la sintesi finale dello studio del dott.Cionci, possiamo individuare le seguenti posizioni critiche:
• Non è corretto sostenere che non si hanno certezze sulla validità dei Sacramenti celebrati “una cum Francisco”, ma anzi, siamo tenuti per fede a credere nella validità di questi sacramenti.
• Non è corretto sostenere che in mancanza di un pronunciamento ecclesiastico sull’illegittimità di Bergoglio come papa, la valutazione della sua eventuale condizione di scismatico sia lasciata al discernimento dei fedeli. Infatti, è assolutamente erroneo sostenere che spetti al fedele dichiarare scismatico Francesco e comportarsi di conseguenza.
• Non è corretto sostenere che «il precetto festivo della S. Messa cessa di obbligare perché contrario alla virtù della fede».
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Breve commento ad alcune recenti aggiunte all’impianto dell’inchiesta del dott. Cionci Concludo il commento alla tesi di studio del dott. Cionci e dei suoi collaboratori considerando brevemente le loro ultime interpretazioni, basate su nuove traduzioni, differenti da quella proposta inizialmente, della Declaratio di Papa Benedetto, perché questo va a toccare anche il tema della celebrazione eucaristica.
La tesi di tale studio è che Papa Benedetto con la Declaratio abbia operato una «declaratoria di decisio su delitto, scisma, usurpazione e sede impedita». Non mi pronuncio sul risultato di queste nuove traduzioni né sulla interpretazione canonicogiuridica che ne è conseguita.
•La prima cosa che vorrei far notare è che, per quanto è dato di sapere dalle firme apposte al documento, è mancata la supervisione di un teologo.
•Inoltre, vorrei in questa sede puntare l’attenzione sul fatto che, a prescindere dai contenuti, non è corretto che un’ipotesi di studio vada a sostituire la giurisdizione della Chiesa in materia. Mancando una sentenza esplicita della Chiesa (come da cann. 1341 e ss.), non si può affermare che i fedeli siano autorizzati a considerare il Card. Bergoglio scismatico, né tantomeno i fedeli sono autorizzati a credere nell’esistenza di una cosiddetta «Chiesa bergogliana scismatica», dato che questa espressione non identifica nulla di chiaro e opera solo confusione nei fedeli stessi.
È temerario sostenere che nella Declaratio vi sia certamente una dichiarazione di scisma pronunciata da Papa Benedetto, e che quindi i fedeli sarebbero autorizzati a rifuggire i Sacramenti celebrati una cum Francisco.
Non voglio togliere nulla al lavoro che il dott. Cionci e i suoi collaboratori portano avanti da anni. Potrà essere accolto dagli organi ecclesiastici competenti, potrà essere confermato, corretto, utilizzato per porre chiarezza, ma in nessun modo può dire oggi ai fedeli, sostituendosi alla Chiesa, cosa devono fare e non fare, credere e non credere, in materia in cui ha assoluta giurisdizione solo e soltanto la Chiesa.
È necessario che le conclusioni dei loro studi rimangano tali, e non diventino delle circolari usate per orientare i fedeli in questo momento delicatissimo. Ricordo che un’anima sola vale il Sacrificio di Gesù Cristo sulla Croce, e ci vuole quindi somma prudenza nel considerare un’ipotesi di studio come una certezza fondata e dimostrata, soprattutto se questa può compromettere il cammino di grazia di molte persone di buona volontà.
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Approfondimento sui testi di morale citati dal dott. Cionci
Dopo la pubblicazione di questo commento, il dott. Cionci ha ripreso la questione su YouTube, nel video dal titolo: «Ostia consacrata gettata nei rifiuti. Cionci si contraddice? NO, ecco perché», e reperibile a questo link: https://youtu.be/qmzUa0KlaWE?si=2JReRI7IyLlBxn2t
Trascrivo qui il passaggio centrale che vorrei commentare:
«Il precetto domenicale? Il precetto domenicale si osserva quando si va alla Messa lecita, non quando si va alla Messa illecita. Io vi ho riportato tutti i testi che vengono dalla teologia morale, dal Catechismo, dal Diritto Canonico. Poi però, se non li leggete, è un altro conto. E allora, come si fa? Come si fa? Come si fa? Eh, non si fa. Non si fa. Sei scusato.
Tant’è che la teologia morale ti scusa dall’andare alla Messa lecita addirittura se tu, quella domenica, hai un affare importante e devi guadagnare dei soldi. Sei scusato dal non andare alla Messa lecita, perché il Padre eterno non è il mega direttore di Fantozzi, che se non si timbra il cartellino tutte le domeniche si va all’inferno. Il Padre eterno è molto più intelligente di quanto pensiamo. Quindi, se un padre di famiglia, quella domenica, ha un affare per cui deve guadagnare 5.000 o 10.000 euro, non ci va alla Messa ed è scusato. Così come si è scusati se la Messa è troppo lontana. Io tutte queste scusanti ve le ho riportate nel PDF. Non le volete leggere? Fate come vi pare. Comunque a me non interessa: voi andate alle Messe che volete. Io non sono nessuno per darvi delle indicazioni. Però non si dica che Cionci cade in contraddizione, perché Cionci non è caduto in contraddizione».
Riprendiamo allora quali sono le fonti citate da Cionci nel suo PDF, cito dalle pagine 5 e 6:
«Come suggerisce il buon senso e come conferma Padre Eriberto Jone ofm nel Compendio di Teologia morale, ed. Marietti, 1955, n. 200: “Cause scusanti sono infatti: l’impossibilità fisica o morale. Scusano quindi dall’osservanza del precetto […] il pericolo di subire un grave danno materiale e morale” (ed. Studium, voce “santificazione delle feste”). Parimenti: “Dall’obbligo di ascoltare la Messa scusa ogni motivo mediocremente grave, quale esiste in caso […] di danno corporale o spirituale che dovesse derivare a noi o ad altri”.
Quindi, visto che il danno spirituale - massimo e non “mediocre” - è quello di al peccato degli scismatici in unione con l’antipapa usurpatore Francesco, sulla cui ortodossia dottrinale, peraltro, non vi sono certezze, visto che il danno materiale è quello di ritardare la legittima successione petrina con tutti i problemi derivanti per la Chiesa cattolica e per 1 miliardo e 285 milioni di cattolici, il fedele è pienamente scusato se non assolve al precetto domenicale per danno materiale, morale, spirituale a se stesso, alla Chiesa e agli altri cattolici. Il fedele è dunque tenuto per forza a spostarsi di decine o centinaia di km per cercare una Messa lecita? No. Anche la distanza eccessiva può essere, infatti, una scusante. In “Teologia morale” di P. Teodoro da Torre del Greco si legge: “Qualunque giusto motivo può scusare il fedele dall'assistere alla S. Messa. Scusa dunque: a) l’impossibilità fisica o morale, […] quelli che abitano molto lontano dalla chiesa, etc.”»
È da notare che entrambe le fonti di teologia morale che vengono citate nel pdf del dott Cionci, Compendio di Teologia morale di Padre Eriberto Jone ofm, ed. Marietti e Teologia morale di P. Teodoro da Torre del Greco sono state pubblicate prima del Codice di diritto canonico del 1983, e quindi si basano sulla vecchia edizione del Codice di diritto canonico, del 1917.
Inoltre, solo la seconda delle fonti tiene conto dei documenti del Concilio Vaticano II, mentre la prima fonte non può tenerne conto essendo stata pubblicata nel 1955.
Qual è il problema? Che da allora l’approccio alla teologia morale è cambiato radicalmente. L’operazione fatta dal dott. Cionci è quindi sbagliata metodologicamente.
I manuali preconciliari si fondano su tutta una casistica oggi non più utilizzata e inoltre condizionata dal contesto socioculturale completamente diverso dal nostro.
Alcuni esempi?
•Secondo il manuale di p. Jone sono scusate le «donne incinte non sposate». E perché mai? Negli anni ’50, una gravidanza fuori dal matrimonio era considerata un grave scandalo pubblico. La dispensa si fondava sul riconoscimento che la condizione di una donna incinta e non sposata potesse essere così infamante da giustificare, pastoralmente, il rimanere nascosta, anche in giorno di precetto. Prümmer e Noldin-Schmitt fanno osservazioni simili, menzionando il caso delle donne gravidae illegitime come esempio di dispensa per “gravis verecundiae causa”.
•P. Jone scusa anche chi avesse abiti troppo logori o inadeguati per comparire in pubblico.
Nel primo Novecento (e fino almeno agli anni ’50) si dava per scontato che la partecipazione alla Messa domenicale comportasse una presenza pubblica in forma decorosa, secondo le convenzioni sociali dell’epoca ed era sottinteso che si dovesse indossare il “vestito della festa”. Oggi, anche le persone con reddito molto basso dispongono di abiti semplici ma puliti e dignitosi e la distinzione tra i vestiti “ordinari” e quelli “della festa” è quasi scomparsa.
Alla luce di queste contestualizzazioni, anche la questione del grosso affare da diverse migliaia di euro citato da Cionci appare completamente fuori luogo ai giorni nostri. La frase del Jone, tradotta dall’edizione inglese di cui dispongo è:
«Coloro che, partecipando alla Messa, avrebbero subito la perdita di un guadagno di particolare entità».
Come si spiega una simile dispensa, che alle nostre orecchie sembra dettata da un’avidità di guadagno stridente con lo stile evangelico? Negli anni ’50, in molte aree, si celebrava una sola Messa domenicale per parrocchia, poche famiglie disponevano di un’automobile e gli spostamenti verso altre chiese risultavano spesso impraticabili.
Il principio morale sottostante era quello di evitare un obbligo ad impossibilia o graviter onerosa, in linea con la dottrina della dispensa in caso di grave incomodo.
Nel contesto attuale, in cui esistono molte celebrazioni distribuite tra sabato e domenica e la mobilità è notevolmente aumentata, simili motivazioni non sono più generalmente applicabili. Se quindi ci fosse veramente un’occasione unica e imperdibile di un guadagno di entità eccezionale, la persona potrebbe attendere al suo affare e trovare comunque una celebrazione in orario comodo per sé.
Padre Giorgio Maria Fare'
NOTE:
1) È detto scisma: "il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti" (Codice di Diritto Canonico, can. 751). «Per costituire il delitto di scisma in senso stretto sono richieste le seguenti condizioni: 1. C i si deve ritirare direttamente (espressamente) o indirettamente (attraverso le proprie azioni) dall’obbedienza al Romano Pontefice e separarsi dalla comunione ecclesiastica con il resto dei fedeli, anche se non ci si unisce a una setta scismatica separata; 2. il ritiro deve essere fatto con ostinazione e ribellione; 3. il ritiro deve essere fatto in relazione a quelle cose che costituiscono l’unità della Chiesa; e 4. nonostante questa disobbedienza formale, lo scismatico deve riconoscere il Romano Pontefice come il vero pastore della Chiesa, e deve professare come articolo di fede che è dovuta obbedienza al Romano Pontefice» (Ignatius J. SZAL, The Communication of Catholics with Schismatics, p. 2 traduzione propria).
2) La scomunica per scisma, in forza del can. 1364, è latae sententiae, ossia si ritiene che il fedele che commetta questo delitto cada nella scomunica automaticamente, a partire dall’atto stesso compiuto con piena responsabilità. Tuttavia, l’accertamento giuridico (la dichiarazione pubblica e formale) che qualcuno abbia effettivamente commesso il delitto di scisma spetta all’autorità ecclesiastica competente. Normalmente è il Vescovo diocesano (o un tribunale ecclesiastico da lui delegato) ad avviare un’indagine (cfr. can. 1717 e ss.) per appurare se il fedele abbia compiuto scisma in senso canonico e se ne ricorrano le condizioni di imputabilità (cann. 1321-1330). In casi più complessi o gravi, la Congregazione (ora Dicastero) per la Dottrina della Fede o la Sede Apostolica possono intervenire direttamente o avocare a sé il giudizio. Una volta verificati i fatti e accertata la colpevolezza, si può emanare un decreto dichiarativo (cfr. can. 1341 e ss.) che attesta la scomunica già incorsa ipso facto. Nel caso in cui il fedele non si ravveda, lo stato di scomunica rimane; se invece recede e si riconcilia, possono avviarsi le procedure per la remissione della censura (can. 1358).
3) Qui S. Tommaso non sta parlando della liceità del Sacramento in sé ma sta dicendo che è lecito (cioè è permesso) al fedele prendervi parte.
4) Summa Theologiae, Tertia Pars, Quaestio 82, Articulus 9, co.
5) Summa Theologiae, Tertia Pars, Quaestio 82, Articulus 7, co.
Fonte qui
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